Il granuloma apicale: sintomi e cura
7 Aprile 2016 | Fabio Betteti
7 Aprile 2016 | Fabio Betteti
Il granuloma apicale non è una malattia tumorale.
Diversi pazienti sono ignari portatori di granuloma apicale e molto spesso si preoccupano enormemente per la presenza di questa patologia riscontrata casualmente con una radiografia orale. Sicuramente molta di questa apprensione è dovuta alla parola stessa “GRANULOMA”, per cui nella mente dei pazienti si crea l’associazione errata granuloma dentale tumore. Le parole che nella terminologia medica finiscono con –oma evocano malattie tumorali quali: carcinoma, sarcoma, neuroblastoma, melanoma, ecc. Il suffisso –oma in patologia sta ad indicare che si tratta di una neoplasia, ma purtroppo, e qui si crea l’equivoco, lo stesso suffisso si trova in certi termini che si riferiscono a patologie tessutali di altra origine, vedi ad esempio “ematoma” e appunto “granuloma”.
Quindi a beneficio della tranquillità dei pazienti escludiamo subito l’origine tumorale del granuloma, infatti mentre un tumore è una massa abnorme di tessuto la cui crescita è eccessiva e non coordinata con quella dei tessuti normali e tale si mantiene anche dopo la cessazione degli stimoli che hanno indotto l’alterazione, il granuloma è un processo infiammatorio cronico che l’organismo mette in atto nel tentativo di difendersi da un irritante che non è in grado di eliminare.
Per i patologi di vecchia scuola, l’espressione “infiammazione granulomatosa” implicava la presenza di tessuto di granulazione e infatti dal punto di vista etimologico granuloma significa massa simil-tumorale di tessuto di granulazione.
Granuloma apicale: di cosa si tratta?
Attualmente, quando parliamo di granuloma apicale parliamo di una infiammazione apicale cronica cioè di una lesione ricca di macrofagi, linfociti, plasmacellule e fibroblasti che viene incapsulata da un tessuto connettivo fibroso. Tale lesione asintomatica e radiotrasparente – in quanto l’osso si riassorbe in quell’area – è l’espressione di un certo equilibrio che si è raggiunto tra i batteri all’interno del canale radicolare (gli irritanti) e le difese dell’ospite che presidiano lo sbocco del canale stesso e sono veicolate dal microcircolo sanguigno all’esterno della radice.
Il granuloma è il risultato, in definitiva, di una situazione di “tregua” raggiunta dopo la “battaglia “ combattuta tra l’esercito degli attaccanti (microbi e loro tossine) e quello dei difensori (risposta infiammatoria ed immunologica) nei vari punti di sbocco del canale radicolare. Lo sbocco principale è a livello dell’apice della radice ma altre “vie d’uscita secondarie “possono essere presenti lungo il canale principale dando origine alle volte a granulomi laterali.
Ma i batteri invasori da dove arrivano?
L’ingresso principale è dato da una carie profonda che raggiunge la polpa ma vie d’ingresso nella parete tessutale dura del dente si possono aprire anche a seguito di procedure cliniche, fratture e spaccature indotte da trauma. Queste sono le vie d’accesso più frequenti dell’infezione pulpare tuttavia, sono stati isolati anche dei microbi da denti con polpe necrotiche (polpe morte) e con corone apparentemente intatte. Si è ipotizzato che questi denti possano apparire clinicamente intatti, ma presentare microfratture nei tessuti duri (smalto, dentina, cemento). Queste microfratture potrebbero rappresentare la porta di ingresso per i batteri. L’infezione pulpare si può anche verificare attraverso i tubuli dentinali esposti a livello del colletto a causa dell’assenza del cemento che normalmente ricopre questa zona di passaggio tra corona e radice. I granulomi si possono manifestare anche in denti che hanno già subìto un trattamento endodontico: in questi casi l’infezione canalare può essere secondaria ad una infiltrazione batterica coronale oppure qualche particolare battere molto resistente è sopravvissuto al precedente trattamento e, anche a distanza di anni, può stimolare una risposta infiammatoria cronica da parte del tessuto periapicale.
I granulomi dentali, abbiamo detto, possono rimanere “latenti” e senza sintomi per lunghi periodi di tempo, senza alterazioni evidenti nei controlli radiografici. Tuttavia, il delicato equilibrio che si è stabilito all’apice può essere disturbato in qualsiasi momento o per una aumentata virulenza dei microbi ospitati all’interno del canale o per un deficit improvviso delle difese dell’ospite. Ecco allora che la lesione prima asintomatica diventa spontaneamente acuta con manifestazioni cliniche quali dolore, gonfiore e /o apertura di una fistola gengivale con fuoriuscita di pus. Gli antibiotici in questo caso permettono di controllare la riacutizzazione ma non guariscono l’infiammazione cronica apicale che tornerà quiescente e tale si manterrà fino alla prossima riacutizzazione.
Come si cura il granuloma apicale?
Le difese dell’organismo e/o la terapia antibiotica non riescono a sterminare definitivamente gli invasori che sono ben “trincerati “nel canale radicolare necrotico o già devitalizzato poiché essi si trovano in questo caso al di fuori dell’ambito corporeo. Mi spiego meglio: gli anticorpi ed i farmaci antibatterici non possono essere veicolati in zone dove manca il flusso sanguigno e quindi nel canale radicolare dove c’è polpa morta o dove c’è già una otturazione canalare, i batteri sono protetti perché lì non c’è sangue che circola e possono così proliferare indisturbati.
Quindi per guarire veramente il granuloma deve necessariamente essere trattato mediante una adeguata terapia endodontica che preveda la corretta sagomatura, detersione-disinfezione e otturazione dello spazio intracanalare della radice che presenta la lesione. Si ricorre anche in alcuni casi – statisticamente molto pochi per la verità – alla chirurgia endodontica (apicectomia ed otturazione retrogada) quando la terapia di routine non è praticabile.
Eliminando il contenuto infetto della radice e cioè l’irritante, si elimina la reazione infiammatoria cronica conseguente per cui il tessuto granulomatoso si riassorbirà lasciando spazio per la rigenerazione dei tessuti periapicali in difetto: osso, ligamento parodontale ed il tutto sarà visibile radiograficamente dopo un adeguato periodo di monitoraggio ( 6 -12 – 18 mesi o anche più ).
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