Resistenza agli antibiotici: la minaccia batterica
30 Settembre 2015 | Fabio Betteti
30 Settembre 2015 | Fabio Betteti
Resistenza agli antibiotici: la minaccia batterica
Il recente convegno sulla terapia farmacologica in odontoiatria, organizzato dall’ANDI di Treviso lo scorso 12 settembre, aveva tra i propri argomenti il tema della resistenza agli antibiotici. Dopo aver pubblicato il precedente articolo sulle malattie della bocca di origine batterica, diventa rilevante da parte mia informare il lettore su ciò che comporta l’uso irrazionale e irresponsabile dei farmaci antibiotici.
L’introduzione degli antibiotici nel trattamento delle infezioni in generale, costituisce uno dei più importanti progressi della medicina. Allo stesso tempo l’uso disinvolto e troppo spesso irrazionale di questi farmaci ha contribuito all’aumento drammatico del fenomeno della resistenza a queste molecole da parte dei batteri stessi. Il relatore, Prof. Roberto Mattina, direttore dell’Istituto di Microbiologia dell’Università di Milano, ha sottolineato più volte nel suo intervento, la pericolosità delle resistenze emergenti. La resistenza antimicrobica rappresenta oggi una minaccia reale per la salute pubblica, preoccupazione che è emersa come duro avvertimento dal rapporto dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) del 30 aprile 2014 che, nel tracciare la prima mappa globale sulla resistenza antimicrobica, ha evidenziato un vasto e rapido sviluppo della resistenza agli antibiotici e ad altri agenti antimicrobici in ogni regione del mondo.
Ogni antibiotico non è efficace contro tutti i microrganismi. Lo spettro di attività di ciascuno, cioè il ventaglio delle specie batteriche nei riguardi delle quali l’antibiotico è attivo, probabilmente è legato a vari fattori tra i quali abbiamo:
- la presenza di adatti punti d’attacco sulla superficie del microrganismo
- la presenza di sistemi batterici essenziali i quali possono essere inibiti dal farmaco
- la produzione batterica di sostanze – intra od extra-cellulari – capaci di inattivare l’antibatterico
La cellula batterica per la propria sopravvivenza, moltiplicazione e difesa dall’ambiente esterno, deve necessariamente produrre enzimi. Alcuni di questi enzimi sono di particolare importanza in quanto vengono prodotti proprio per inattivare gli antibiotici che potrebbero mettere in pericolo non solo l’esistenza ma anche la sopravvivenza della stessa specie batterica.
Come avviene la resistenza agli antibiotici da parte dei batteri?
La resistenza batterica agli antibiotici non è un meccanismo acquisito in seguito alla diffusione dell’antibioticoterapia, è una modalità già presente nei batteri ancor prima della scoperta e dell’uso terapeutico di queste molecole. L’esistenza di geni responsabili dei meccanismi di resistenza è stata infatti dimostrata nel DNA di ceppi batterici isolati presso comunità di certo mai venute a contatto con gli antibiotici (ricerca effettuata in una tribù di amerindi Yanomami scoperta nel 2009 nel sud del Venezuela e rimasta isolata per millenni).
È proprio al fenomeno della resistenza che i batteri devono le loro capacità di sopravvivenza in natura nei confronti di muffe e funghi produttori di sostanze naturali dotate di attività antibatterica. Tuttavia questo fenomeno si è evidenziato solo con la diffusione dell’uso di antibiotici che hanno così esercitato una azione selettiva, favorendo la moltiplicazione e lo sviluppo dei ceppi resistenti. Nella selezione naturale per la sopravvivenza di tutti gli organismi viventi (piante, animali, batteri, virus) le avversità fanno soccombere gli individui più deboli, mentre i più forti, resistono e moltiplicandosi vanno a sostituire i deboli rimpiazzandoli totalmente nell’ambito della specie.
Normalmente, in una colonia di germi sensibili ad un certo antibiotico, ne esistono alcuni che sono naturalmente resistenti o insensibili ad esso. Quando l’antibiotico distrugge i batteri sensibili, quelli insensibili al farmaco e che fino a quel momento si trovavano in uno stato “inattivo “ o di “stand by”, iniziano a moltiplicarsi. Tenendo presente che un batterio è formato da un’unica cellula e che per replicarsi gli bastano circa venti minuti, possiamo calcolare che in circa 12 ore si ottiene da quella singola cellula di partenza una popolazione batterica di circa 1 miliardo di microorganismi tutti uguali, tutti resistenti a quell’antibiotico e trasmissibili ad altri individui umani dove i ceppi resistenti colonizzeranno ulteriormente.
Le cause della resistenza agli antibiotici
Da oltre 15 anni non ci sono nuovi antibiotici disponibili e all’orizzonte non si vedono imminenti arrivi sul mercato di farmaci innovativi per contrastare questo fenomeno e tutto fa supporre che per i prossimi 5 anni la situazione rimarrà invariata.
Lo sviluppo della resistenza agli antibiotici è un normale processo evolutivo e già nel 1945, nel suo discorso alla cerimonia del Nobel, Alexander Fleming, scopritore della penicillina, aveva avvertito della possibilità da parte dei batteri di sviluppare una resistenza verso questo farmaco “salva vita”.
Tre sono fondamentalmente le cause che hanno portato allo sviluppo del quadro allarmante della resistenza agli antibiotici da parte dei batteri – ha chiarito il Prof. Mattina – e questo vale soprattutto per l’Italia, dove il tasso di resistenza è il più alto d’Europa:
- uso inappropriato ed eccessivo degli antibiotici da parte dei medici che li impiegano e li prescrivono anche quando non c’è un bisogno indispensabile;
- cattivo utilizzo da parte dei pazienti che, molto spesso, smettono di assumere il farmaco alla prima scomparsa dei sintomi (es, appena scompare il dolore o la febbre) senza finire il ciclo completo della terapia e la facilità con cui il paziente può assumere il farmaco senza la necessaria ed obbligatoria prescrizione medica, favorendo così il pericoloso fenomeno della terapia fai da te;
- il massiccio uso che viene fatto degli antibiotici negli allevamenti intensivi per evitare il facile sviluppo di epidemie dovute alle condizioni stressanti in cui vengono tenuti gli animali. Secondo uno studio dell’EFSA (European food Safety Authority) e dell’ECDC (European Center for Diseases Prevention and Control) pubblicato alla fine di gennaio di quest’anno, l’Italia è il paese europeo che usa più antibiotici per gli allevamenti animali. Questo provoca un’assuefazione agli antibiotici, favorendo successivamente l’emergenza di resistenze batteriche anche nell’uomo.
La resistenza agli antibiotici in odontoiatria
Anche in campo odontoiatrico il fenomeno si è reso alquanto evidente. La percentuale infatti di ceppi di Staphylococcus aureus produttori di un enzima che neutralizza gli antibiotici betalattamici penicilline, cefalosporine) e che è spesso l’agente responsabile di gravi patologie orali come osteiti, osteomieliti del mascellare, è passata dal 6% del 1949 all’81,5% del 1978. Oggi si ritiene che soltanto il 10% circa dei ceppi sia ancora sensibile alle penicilline. Grazie comunque alla continua ricerca farmacologica si sono trovate delle sostanze capaci di inibire l’azione di questi enzimi batterici, la più nota è l’acido clavulanico che associato alla penicillina permette a quest’ultima di essere ancora attiva verso le specie produttrici dell’enzima betalattamasi.
Da tutte queste considerazioni si è riconfermata la corretta prassi clinica che si applica quotidianamente nello studio: gli antibiotici vanno usati nel trattamento delle infezioni batteriche del cavo orale solo quando sia realmente necessario. Possono essere usati in associazione (ma non in sostituzione) con altri provvedimenti, quali il drenaggio di un ascesso o l’estrazione di un dente. Le infezioni del cavo orale che richiedono un trattamento antibiotico sono: la parodontite apicale suppurativa, l’ascesso alveolare e l’ascesso parodontale, la sinusite acuta mascellare odontogena, la pericoronarite grave del dente del giudizio semi-incluso, l’osteite localizzata, la gengivite acuta ulcero-necrotica, parodontiti ad insorgenza precoce, forme gravi di malattia parodontale aggressiva e le parodontiti refrattarie al trattamento meccanico. La maggior parte di queste infezioni si risolve rapidamente con la pronta applicazione di un drenaggio e l’eliminazione della causa che le ha determinate: in genere un’infezione necrotica della polpa dentaria oppure la presenza di accumuli di placca batterica a livello sottogengivale.
Gli antibiotici sono indicati quando il trattamento odontoiatrico venga ritardato e sono fondamentali nelle condizioni sopra riportate nei pazienti immunodepressi o in condizioni particolari quali il diabete. Gli antibiotici possono essere utili anche dopo interventi chirurgici odontoiatrici in caso di infezione oppure dati prima a scopo profilattico valutando seriamente, a seconda del caso e delle più aggiornate raccomandazioni cliniche, la reale necessità della profilassi antibiotica per quel particolare caso. Da parte sua, il paziente deve scrupolosamente seguire alla lettera la prescrizione medica: dosaggio, intervallo di tempo costante della somministrazione (ogni 6 -8 -12 ore) e durata della terapia. Tutto ciò può contribuire ad affrontare – nell’ambito odontoiatrico – in maniera consapevole e razionale, la grande problematica della resistenza agli antibiotici che oggi rappresenta una minaccia importante per la salute pubblica.
Trovo significativo concludere questo articolo con le raccomandazioni dell’ AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) nella sua campagna d’informazione pubblica sull’uso corretto degli antibiotici (2014):
“Usare bene gli antibiotici è una responsabilità del singolo nei confronti della propria salute per aver sempre a disposizione farmaci efficaci per la propria patologia ed è inoltre una responsabilità collettiva, perché favorire lo sviluppo dell’antibiotico-resistenza, attraverso un uso improprio degli antibiotici, mette a rischio la salute della collettività”